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WIKICONDOMINIO

L'enciclopedia libera del condominio

Le parti comuni in condominio

Avv. Sabina Vuolo


Quali sono le parti comuni di un condominio?

Il codice civile non fornisce una definizione di parti comuni, si limita a indicarne il regime giuridico a cui esse sono sottoposte. scalaGli ermellini hanno poi definito parti comuni “quelle necessarie per l’esistenza dell’edificio condominiale o permanentemente destinate all’uso comune da parte dei proprietari dei singoli appartamenti”. Ma concretamente quali porzioni dell’edificio sono definite comuni?
Ai sensi dell’art. 1117 c.c., sono oggetto di proprietà comune di un edificio, se il contrario non risulta dal titolo:

  • I beni comuni necessari quali il suolo su cui sorge l’edificio, le fondazioni, i muri maestri, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni d’ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e in genere tutte la parti dell’edificio necessarie all’uso comune;
  • I beni comuni di pertinenza quali i locali per la portineria e per l’alloggio del portiere, per la lavanderia, per il riscaldamento centrale, per gli stenditoi e per altri simili servizi in comune;
  • I beni comuni accessori quali le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere che servono all’uso e al godimento comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli acquedotti e inoltre le fognature e i canali di scarico, gli impianti per l’acqua, per il gas, per l’energia elettrica, per il riscaldamento e simili, fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condòmini .

Le parti comuni dell’edificio essendo strumentali al godimento delle proprietà esclusive sono indivisibili e irrinunciabili. L’indivisibilità viene affermata da una norma inderogabile di legge, sicché sarebbe nulla la clausola del regolamento di condominio approvato a maggioranza che prevedesse la divisibilità delle cose comuni nonostante la divisione rendesse l’uso delle stesse più incomodo a ciascun condomino. La possibilità di addivenire alla divisione della cosa comune deve ritenersi ammissibile ove supportata dal consenso unanime di tutti i partecipanti al condominio. Al riguardo l’art. 1119 c.c. dispone; “le parti comuni dell'edificio non sono soggette a divisione, a meno che la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l'uso della cosa a ciascun condomino e con il consenso di tutti i partecipanti al condominio". E´ evidente l’interesse “verso la cosa”, pertanto, l’art.1119 cc stabilisce l’impossibilità di addivenire alla divisione delle parti comuni ove questa alteri la destinazione funzionale e determini una
diminuzione nel godimento delle rispettive proprietà esclusive. L’irrinunciabilità espressa dall’art. 1104 c.c. stabilisce che ciascun partecipante deve contribuire nelle spese necessarie per la conservazione e per il godimento della cosa comune e nelle spese deliberate dalla maggioranza, salva la facoltà di liberarsene con la rinunzia al suo diritto. Tale ultimo inciso non è applicabile ai rapporti condominiali, stante il disposto di cui all’art. 1118 cc., ult. co., ai sensi del quale il condomino non può, rinunziando al diritto sui beni comuni, sottrarsi al contributo nelle spese per la loro conservazione. Sicché nemmeno il regolamento di condominio, pur se di natura contrattuale, potrebbe legittimamente derogare all’obbligo di contribuzione ed alla sua irrinunciabilità.
Si esclude, in tal modo, l’efficacia della rinuncia alle cose comuni, salvo che a tale atto di dismissione sia contestuale la rinuncia al diritto sull’unità abitativa in proprietà esclusiva. La ratio dell’art. 1118 cc., ult. co., è da ricercarsi nel fatto che il godimento dei beni comuni è inscindibile dal correlativo godimento dei beni di proprietà esclusiva. Il condomino, pur rinunciando alla contitolarità del bene, continuerebbe di fatto necessariamente ad usufruirne, il che appare inaccettabile. Va tuttavia sottolineato che l’inefficacia della rinuncia non opera con riguardo a quegli impianti condominiali da considerarsi superflui in relazione alle condizioni obiettive ed alle esigenze delle moderne concezioni di vita, ovvero illegali, perché vietati da norme imperative. In tali ipotesi, infatti, deve riconoscersi al singolo condomino la facoltà di rinunciare alla cosa comune, perché in tal caso l’esistenza degli impianti trova la sua ragion d’essere esclusivamente nella determinazione dei condòmini che intendono conservarli.

Normativa di riferimento

Uso delle parti comuni


Ciascun condomino può godere delle parti comuni purché rispetti la loro destinazione economica, il diritto degli altri partecipanti ad un pari godimento delle stesse, la stabilità, la sicurezza e il decoro dell’edificio
condominiale, nonché le proprietà solitarie degli altri partecipanti al condominio. In particolare al singolo condomino non è consentito alterare la destinazione attuale della cosa comune in maniera tale da modificarla per tutti. Assai significativo, in tal senso, è il disposto dell’art. 1122 c.c., che vieta di eseguire nel piano (o porzione di piano) oggetto di proprietà esclusiva opere che rechino danno alle parti comuni.

Diritto del condomino sulle parti comuni

Il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni dell’edificio è proporzionato al valore del piano (o porzione di piano) che gli appartiene, salvo che il titolo disponga diversamente. Per determinare l’estensione del godimento spettante a ciascun condomino sulle parti oggetto di proprietà comune, si considera la situazione esistente al momento della nascita del condominio, avendo riguardo al grezzo, senza considerare i miglioramenti e lo stato di manutenzione ex art. 68, disp. att. c.c., salvo che si tratti di innovazioni di larga portata.  La relativa determinazione risulta dalla tabella millesimale.